sabato 11 maggio 2013

“La nemica” di Irène Némirovsky. La nostra recensione


Vale comunque la pena leggere La nemica (Elliot, 2013). Di Irène Némirovsky si tratta. Scrittrice di talento (penso a lavori intensi come Suite francese e allo stupendo e controverso David Golder), oltre che donna complessa e contraddittoria. Ucraina d'origine, naturalizzata francese; di padre ebreo (come lo sarà il marito); pungente critica nei confronti di certi aspetti della cultura ebraica – il che in epoca post-Shoah non è certo gentilmente concesso –, dunque imbarazzante se non scandalosa; tanto più che è ebrea lei stessa, con l'aggravante di essersi convertita al Cristianesimo; non per questo scampata ad Auschwitz dove morirà di tifo a soli 39 anni, nel 1942.
Ed è proprio la complessità del percorso esistenziale e artistico della Némirovsky il principale motivo per cui è interessante leggere La nemica.
Romanzo breve giovanile pubblicato a puntate sulla rivista letteraria «Les Oeuvres libres» nel 1928 a nome di tale Pierre Nérey, La nemica è un abbozzo più che un'opera compiuta. I personaggi non penetrano né la mente né il cuore del lettore, tanto superficialmente e didascalicamente è delineata (non scavata) la loro psicologia, tanto sommariamente è costruito il loro 'carattere'. Dovrebbero accamparsi potenti, plastici; insomma vivi. Così non è. A una velocità disarmante, in una banalissima e gelida sequenza di cause-effetti, si succedono scene di vita che avrebbero potuto essere ben più cariche di senso. Manca un'elaborazione narrativa. Così che quasi nulla della scrittura della Nemica suscita forti pensieri o emozioni. E nulla sorprende. In misura stupefacente, semmai, quasi tutto è prevedibile ed evanescente.
Si tratta di un romanzo di formazione. Vi si racconta della giovane Gabri, abbandonata a sé stessa da una madre alla ricerca ossessiva di risarcimenti a un'esistenza di miserie, interamente dedita alla cura narcisistica della propria bellezza, preda di una passione morbosa e deviata per il fratello del marito. Il quale, ebreo, concentrato nel tentativo – vittorioso – di risollevare le sorti economiche della famiglia, è figura quasi del tutto assente. Il percorso di Gabri appare scontato. L'odio e il rancore nei confronti della madre cresceranno parossisticamente fino a un consapevole desiderio di vendetta, conducendo a uno scontato finale tragico.
Ecco allora: La nemica è un romanzo breve fallito proprio perché è un romanzo di formazione, e intimamente autobiografico. Non è necessario, seppure utile, sfogliare né le pagine della biografia dell'autrice (Olivier Philipponnat - Patrick Lienhardt, Vita di Irène Némirovsky, Adelphi, 2009) né il volume dedicatole dalla figlia (Elisabeth Gille, Mirador: Irène Némirovsky, mia madre, Fazi, 2011). Un'indicazione è già nello pseudonimo Nérey, anagramma di Irène. Tuttavia è nella narrazione la migliore e più convincente chiave per comprendere il 'fallimento' della Nemica.
Irène Némirovsky ha sollevato il velo sul rapporto tormentato con la madre cui è intitolato il romanzo. E, proprio mentre e perché si svelava, ha voluto nascondersi dietro a uno pseudonimo. L'impulso alla scrittura pare qui essere stato l'urgenza di raccontare e dunque vendicarsi – attraverso la parola scritta che sempre urla a voce alta perché davanti al mondo – di una madre irresponsabile ed egocentrica, ottusa e arida. Lo svolgimento piatto della vicenda e l'assenza di spessore dei personaggi appaiono come il frutto della primaria e prepotente urgenza di dire la propria verità per tentare una catarsi attraverso la letteratura. E forse così doveva in ogni caso essere, dato il radicale autobiografismo che rendeva arduo manipolare un materiale bruciante, doloroso, evidentemente non elaborato. Su cui l'autrice doveva correre, correre veloce, senza fermarsi troppo...
Vale comunque la pena leggere La nemica. Nonostante sia un romanzo di formazione fallito, l'autrice ci fornisce squarci di sé utili a comprendere la complessità e le contraddizioni della sua personalità e della sua opera. Ci svela qui un po', forse, come è diventata la scandalosa, imbarazzante a volte, tormentata Irène Némirovsky di David Golder.
Di là dal fatto che immaginare... sentire un cuore caldo pulsare (battendo forte? o rallentando il ritmo? sospendendolo quasi? quanto più possibile...) mentre la mano corre veloce sulla pagina perché altro non può fare (ché altrimenti quel cuore sarebbe sopraffatto? rischierebbe di affogare o frantumarsi? o ché quel cuore ordina di gridare solo il suo dolore, poco importa come...), questo sì emoziona. È un penetrare un'intimità. È, per quanto possibile, accedere a un mondo. Al microcosmo esistenziale e artistico che si dispiegherà, più ampiamente e compiutamente, più tardi.

Michela Matani

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