domenica 14 aprile 2013

Dorian Manea: controfiocchi piano.


Lo ascolti e dici “però!” Sarà perché ultimamente ci sta capitando di ascoltare personaggi imbarazzanti (ma famosi) picchiare con violenza tasti bianchi e neri, quando per sbaglio ne senti uno che li accarezza, esclami: “Ohibò”. Dorian Manea, rumeno di Bucarest (tutti i rumeni sono di Bucarest anche se vengono da Bicaz), è un pianista serio. Jazz, swing e honky tonk per lui pari sono. È lui il leader che detta i tempi delle esecuzioni, il contrabbasso e la batteria seguono, semplicemente. Il livello degli artisti di strada è, ultimamente, salito di parecchio. A volte non riusciamo a capire se quello di esibirsi per strada sia un volo esistenziale o, più banalmente, l'esigenza di cibo, del vile cibo che costringe artisti, anche di una certa levatura, a sfidare la pioggia e il vento, la nebbia e un sole finalmente caldo come quello di oggi. Non volendo filosofeggiare, ma ci piacerebbe parecchio, quello di Dorian Manea è un bel trio, si chiama “Balcanic Band” e se per un momento abbiamo pensato che “Transilvanic Band” sarebbe stato lo stesso, la colpa è solo delle nostre letture draculesche. Manea vola sulla tastiera, è bravissimo a improvvisare su un tema centrale, è altrettanto bravo nei cambi di ritmo che sottolineano il passaggio fra Duke Hellington e Antonio Carlos Jobim. Dal Jazz allo Swing, passando per la Samba e la Bossa Nova e approdare infine al caro, vecchio, indimenticabile Honky Tonk, che non è solo il nome delle vecchie fabbriche di gin di New Orleans in pieno proibizionismo. Una nota sulla strumentazione di questo trio delle “meraviglie”. Un amplificatore 50w, che rendeva, a intervalli regolari, l'anima a Dio singhiozzando; una tastiera Korg; un contrabbasso di acero novello ancora verde, e una batteria composta da grancassa, rullante, charleston e un piatto, marcata “Comet”, un logo che in Italia furoreggiava negli anni '50 (forse '40). Ma per i bravi musicisti l'abito conta poco. Non sono monaci.

Massimo Consorti

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